Laura Catrani

Soprano

L’identità sospesa

Circondata da un tripudio di ori e di stucchi una donna si affaccia da un palco. Ma c’è qualcosa di strano: è come se questi elementi la trapassassero, cancellandone la figura.

La storia scelta da Laura Catrani è quella della perdita di identità di cui soffrono gli artisti, cacciati dai luoghi dell’arte in questi tempi di pandemia. Uno scenario che avremmo immaginato possibile solo in un brutto film catastrofista di serie B.

Nel suo sguardo c’è tutta la nostalgia per il palcoscenico che le regole del vivere comune da troppo tempo le impediscono di calcare, allontanandola dal suo pubblico.

Quanto dovrà durare ancora l’ordalia di difficoltà contro cui sta lottando?

Nessuna risposta dal silenzio che regna sovrano sulla platea, sui i palchi e sui grifoni, simbolo del Teatro Galli. Apparentemente lo stesso di una qualunque giornata senza spettacoli, ma in realtà molto più greve se contiamo un intero anno da quando l’ultimo applauso lo ha squarciato.

In generale la fotocamera è più oggettiva della penna. In questo caso però ho chiesto ai circuiti elettronici, precisi e matematici, di abbandonarsi alla lingua umana dell’emozione, per restituirci una figura porosa che pare stia per essere assorbita dal contesto che la circonda. Una presenza evanescente, volutamente immersa in una luce intensa, per combattere l’oscurità del futuro.

Mi commuove questa fotografia delicata e profonda, ordita con le fibre della sofferenza che fa aleggiare in me una domanda: saremo riusciti a non trasformarci in sodali del tempo, nel suo lavoro di volgere in bel-lezza anche il ricordo più brutto?

P.S. Mentre mi vestivo per andare a scattare questo ritratto, l’ultimo di Storie che ho scritto di voi, ho sen-tito di dover indossare le stesse scarpe del giorno in cui è iniziato questo lungo viaggio. Mentre le allaccia-vo ho pensato che così, il primo e l’ultimo passo avrebbero potuto coincidere e scrivere quella parola fine chiude il cerchio.

Rimini,

26 febbraio 2021

Laura Catrani

Soprano

L’identità sospesa

Circondata da un tripudio di ori e di stucchi una donna si affaccia da un palco. Ma c’è qualcosa di strano: è come se questi elementi la trapassassero, cancellandone la figura.

La storia scelta da Laura Catrani è quella della perdita di identità di cui soffrono gli artisti, cacciati dai luoghi dell’arte in questi tempi di pandemia. Uno scenario che avremmo immaginato possibile solo in un brutto film catastrofista di serie B.

Nel suo sguardo c’è tutta la nostalgia per il palcoscenico che le regole del vivere comune da troppo tempo le impediscono di calcare, allontanandola dal suo pubblico.

Quanto dovrà durare ancora l’ordalia di difficoltà contro cui sta lottando?

Nessuna risposta dal silenzio che regna sovrano sulla platea, sui i palchi e sui grifoni, simbolo del Teatro Galli. Apparentemente lo stesso di una qualunque giornata senza spettacoli, ma in realtà molto più greve se contiamo un intero anno da quando l’ultimo applauso lo ha squarciato.

In generale la fotocamera è più oggettiva della penna. In questo caso però ho chiesto ai circuiti elettronici, precisi e matematici, di abbandonarsi alla lingua umana dell’emozione, per restituirci una figura porosa che pare stia per essere assorbita dal contesto che la circonda. Una presenza evanescente, volutamente immersa in una luce intensa, per combattere l’oscurità del futuro.

Mi commuove questa fotografia delicata e profonda, ordita con le fibre della sofferenza che fa aleggiare in me una domanda: saremo riusciti a non trasformarci in sodali del tempo, nel suo lavoro di volgere in bel-lezza anche il ricordo più brutto?

P.S. Mentre mi vestivo per andare a scattare questo ritratto, l’ultimo di Storie che ho scritto di voi, ho sen-tito di dover indossare le stesse scarpe del giorno in cui è iniziato questo lungo viaggio. Mentre le allaccia-vo ho pensato che così, il primo e l’ultimo passo avrebbero potuto coincidere e scrivere quella parola fine chiude il cerchio.

Rimini,

26 febbraio 2021

Sarebbe andata in tutt’altra direzione, questa foto, se la pandemia non avesse nostro malgrado ridisegnato tutti i sogni, le prospettive e i paesaggi della nostra esistenza, nella famiglia, nel lavoro e nelle relazioni.

Ero impegnata a costruire i miei progetti, nella marea di alti e bassi, tra le normali difficoltà e le gioie di questo mestiere e della vita.

Da febbraio 2020 la chiusura dei teatri e dei luoghi della cultura ha impedito ad ogni artista di lavorare.

In sintesi il senso della scelta della mia fotografia deriva esattamente dalla riflessione amara di questi mesi insensati che hanno colpito tutto il mondo dell’arte.

Da una parte giustamente lo stato ha agito per salvare più vite possibile, dall’altra ha lasciato che quelle di alcuni scivolassero nell’oblio dell’indifferenza di molti.

Ho lottato a lungo per tenere stretta tra le mani la mia identità di musicista e non dimenticare chi fossi.

Nei momenti di maggiore sconforto l’immagine di me che ritornava era esattamente l’essere trasparente della fotografia di Baroncini.

Dentro al teatro, simbolo del mio lavoro, dove tutto brilla e riluce, io, come ogni altro artista, sono diventata un’anima immateriale, attraversata dalla concretezza della vita che non si ferma più a godere della sua poesia.

C’è però un risvolto di riscatto in questa mia storia.

La sospensione ineluttabile del mio lavoro e della conseguente routine, consolidata negli anni, ha dilatato il tempo della riflessione e ha reso più profondo il mio pensiero. La trasparenza è solo un effetto ottico di chi guarda.

Un rinnovato nucleo di energia in me ha rafforzato la convinzione che nonostante le avversità, non rinun-cerò mai ad essere chi sono: una cantante.

Laura Catrani