Sguardi, immagini, parole

rispecchiamenti del desiderio e ritratti dell’identità

La sapienza greca riconosce allo sguardo una valenza di matrice dell’identità umana. Platone evidenzia la dinamica di una coscienza riflessiva incisa nella parola che designa l’essere umano: “Unico tra gli animali, l’uomo fu correttamente denominato antropos in quanto riflette su ciò che ha visto”. Eraclito coglie vicissitudini e limiti della coscienza riflessiva, anticipando la prospettiva psicodinamica: “Tentai di decifrare me stesso…(ma) la trama nascosta è più forte di quella manifesta”. L’atto del vedere e la sua elaborazione riflessiva, sostengono la creazione e la modulazione del Sé.

All’origine della vita psichica, secondo il pediatra e psicoanalista Donald W. Winnicott, vi è l’esperienza del lattante di essere tenuto/sorretto e manipolato e subito dopo quella di guardare il viso della madre e di vedervi se stesso: “E ciò che essa appare è in rapporto con ciò che essa scorge”. Il viso della madre è come uno specchio e questo rispecchiamento: “E’ l’inizio di uno scambio significativo con il mondo, un processo a due vie, in cui l’arricchimento di sé si alterna con la scoperta di un significato nel mondo delle cose viste”. Lo sviluppo psichico, la creazione di un mondo interno e parallelamente l’instaurazione dell’esame di realtà, nella prospettiva psicodinamica, si fondano su un intreccio e un rimando di sguardi, tra il soggetto e il ritratto del suo desiderio. Lo sguardo ha una potenzialità ordinatrice e la capacità di articolare una sceneggiatura che, per favorire il processo evolutivo, deve trovare una distanza focale (dia) che consenta il reciproco riconoscimento e la comunicazione (logos). Se la prima infanzia è indubbiamente lo spazio privilegiato per delineare un ritratto dell’identità personale, ci possono essere, nel corso della vita, incontri preziosi per rivisitare tale ritratto con uno sguardo diverso, per focalizzare aree primitive e favorirne un’integrazione più consapevole. In tale prospettiva, si sono rivelati preziosi anche gli incontri ed il dialogo multicodice che sottendono la nascita di “Storie che ho scritto di voi”.

“Alice nel Paese delle Meraviglie” è l’avventura dello sguardo che cerca di cogliere il ritratto del mondo, esterno ed interno, in perenne trasformazione. Il gatto del Cheshire incuriosisce la protagonista con i segreti/strumenti del suo mestiere; la invita a giocare tra la dimensione concreta e quella immaginaria; le insegna come mantenere un dialogo con il “libro con le figure” che è dentro di noi senza confondersi e/o appiattirsi su di esso. La riflessione sul percorso compiuto, di fatto un vero e proprio corso sul ritratto, permetterà ad Alice di approdare, attraverso uno sguardo diverso e creativo, ad una vera metamorfosi.

La fotografia è strumento potente, ma un suo sguardo univoco può reificare il soggetto ritratto, Roberto Baroncini è consapevole di tale rischio. Per esplorare un percorso iconico autenticamente intersoggettivo, egli si avventura in una prospettiva atipica rispetto alla tradizione della professione fotografica e che poteva risultare artisticamente sbagliata o riduttiva. Una sorta di mossa del cavallo gli permette “di entrare in scena senza prevaricazioni”. Con il suo obiettivo a fianco, propone al soggetto, fino a quel momento sconosciuto, di co-costruire un profilo del desiderio attraverso la comunicazione biunivoca, la libera associazione di parole ed immagini. La mossa si rivela vincente ed incrociare sguardi, da vicino e senza metterli reciprocamente in ombra, riesce a trasformare “perfetti sconosciuti in conoscenti, e addirittura amici , facendo fluire le storie“. La possibilità di ciascun soggetto di scegliere liberamente uno tra i tanti scatti che lo raffigurano, rende possibile“trasformare la realtà oggettiva, propria della fotografia, nella “realtà desiderata” e intrecciare un ponte di fiducia su cui le parole possono camminare leggere e sicure per completare, con spunti solisti, una corale narrazione iconica. La scelta del titolo, “Storie che ho scritto di voi”, rimanda chiaramente al desiderio di Roberto Baroncini di essere l’autore dell’opera, ma i “trenta racconti illustrati”, frutto del dialogo da lui avviato, testimoniano il desiderio, ancora più profondo, di un “Noi creativo” e fanno declinare, più o meno consapevolmente, al plurale il processo ed il prodotto estetico.

Pittori, scultori e critici d’arte; attori, ballerini, coreografi e performer; cantanti, musicisti e compositori; fotografi e fotoreporter, poeti e scrittori impastando i loro codici espressivi e fissandoli con le parole, lasciandosi ritrarre e scegliendo lo scatto più desiderato, hanno dato vita ad una narrazione plurale e multicodice, realizzando così pienamente anche il desiderio del fotografo. Le immagini e le parole del desiderio, così espresse, non solo colgono la cifra specifica di ciascun soggetto e della sua arte, ma anche la integrano in modo trasversale e la proiettano in uno spazio/tempo specifico. Lo sguardo dello psicoanalista Donald Meltzer riconosce la dinamica interiore, il profilo/paesaggio dell’ homo aestheticus:“Un viso su cui le emozioni passano come ombre di nuvole su un paesaggio“.

L’intreccio di tanti sguardi/vertici creativamente desideranti che si affacciano nel qui e ora della Romagna conferma i contorni di un paesaggio artistico/culturale vivacemente attraversato ed animato dalle dinamiche dell’arte e del sogno che sembrano rimandare ad una radice generosa, ad un tenace Genius Loci di cui Federico Moroni e Federico Fellini sono stati testimonial significativi.

Per Sigmund Freud i flussi creativi hanno una valenza anticipatoria: “Poeti e filosofi prima di me hanno scoperto l’inconscio”; Papa Francesco riconosce loro una funzione direttiva e illuminante: “Gli artisti…(attraverso la bellezza) ci indicano la strada da seguire… specie in questo momento in cui la pandemia rende più fitte le ombre”. Sembrano convenire che produzione e fruizione estetica sono risorse umane preziose, per il singolo e la comunità, che vanno valorizzate promuovendo il dialogo con esse.

L’emozione estetica modella fin dagli inizi la vita psichica e, per Donald Meltzer: “La qualità evocativa del rapporto tra opera d’arte ed interprete, tra interprete e fruitore può essere accostata al modello dell’intimità madre-bambino, al loro reciproco donarsi ed interrogarsi”. Dall’incontro artista, osservatore, opera d’arte emergono mondi inesplorati, contenuti inconsci che possono prendere innumerevoli forme ed operare un prolungamento del processo creativo. Lo sguardo di quanti leggeranno le parole ed ammireranno le fotografie accolte e presentate nel libro, affiancherà, in modo libero e ravvicinato, lo sguardo del fotografo e dei soggetti narranti e narrati. Per tale strada concorrerà a tenere aperta una dialogante e salutare spirale di bellezza.

Prof. Roberto Boccalon

Presidente International Association for Art and Psychology